02 settembre 2013

Il sogno (impossibile?) di un servizio radiotelevisivo pubblico europeo

Intervenendo al meeting ciellino di Rimini per presentare il suo libro dedicato al ruolo dell'informazione radiofonica nella divulgazione dei problemi legati alla crisi economica ("Radiocronaca di una crisi", Eri edizioni), il direttore dei GR e di Radio Uno Antonio Preziosi ha rilanciato la sua idea di servizio pubblico radiotelevisivo europeo. Un'idea, ha detto Preziosi, che dovrebbe diventare uno dei temi forti della presidenza italiana dell'Unione (dal giugno del 2014). Le cronache riferiscono che il presidente del consiglio Enrico Letta si è detto d'accordo.
Il tema del servizio pubblico sta molto a cuore anche a me, ma è inutile nascondersi che questi ultimi anni sono stati sicuramente i peggiori per una istituzione politica e sociale che si è sviluppata quasi un secolo fa. Il profondo rapporto che a partire dagli anni Venti del secolo scorso è andato sviluppandosi tra sistemi radiotelevisivi e società, politica, cultura, economia, sembra essere andato in tilt con la crisi di quest'ultima. Improvvisamente ci si è resi conto che le risorse finanziarie che sembravano inesauribili erano assai più labili (anche, anzi soprattutto per precise responsabilità politiche). Quello radiotelevisivo è solo uno dei grandi servizi pubblici - sistemi pensionistici, scuole, trasporti - la cui sostenibilità finanziaria è messa in forse. In questa situazione si innesta la spinta verso forme di populismo e personalizzazione delle politica che sicuramente non giovano alla percezione del servizio pubblico informativo come indispensabile contrappeso interno ai processi democratici. Invece di "servire il pubblico", radio e televisione finiscono - noi italiani lo abbiamo visto, ma non siamo i soli - per servire a un potere sempre più allergico a controlli e responsabilità. È possibile intervenire per restituire al servizio pubblico la sua centralità, la sua indipendenza e la sua autonomia finanziaria? È immaginabile riuscire a farlo a livello europeo, considerando che anche la stessa idea di Europa sta perdendo consenso? E con quali risorse?
Personalmente mi piacerebbe disporre di un canale televisivo e di uno o più canali radiofonici gestiti in modo partecipato da tutte le nazioni dell'Unione. Non è sicuramente un progetto facile da realizzare, non foss'altro per la grande diversità linguistica che caratterizza il continente, ma varebbe la pena provarci. Il problema è che nessuno ci proverà.

4 commenti:

Paolo Andrea Bacchi Mellini ha detto...

Un canale televisivo paneuropeo esiste già: è Euronews, diffuso principalmente via satellite e simultaneamente in 13 lingue, la cui proprietà, tramite Socemie con sede a Lione, è detenuta dai maggiori broadcaster europei, Rai in testa con oltre il 20% delle quote.
Euronews costa relativamente poco in rapporto all'ottima qualità del prodotto (ha un budget di circa 60 milioni di euro l'anno) ed è finanziata con 15 milioni di euro l'anno dalla Ue.
Se soltanto i broadcaster proprietari credessero maggiormente nel progetto - ad esempio diffondendolo 24 ore su 24 nei loro bouquet Dvb-T, come accade in Ungheria da quest'anno - Euronews potrebbe veramente decollare ed imporsi come servizio pubblico televisivo europeo.
Senza spendere un centesimo, anzi. Perché i costi di distribuzione terrestri potrebbero tranquillamente essere coperti con uno splittaggio della pubblicità per aree geografiche.

Andrea Lawendel ha detto...

Giusta osservazione, Euronews è a tutti gli effetti l'esperimento televisivo più europeo fino a oggi realizzato, pur muovendosi in un ambito essenzialmente informativo. Euronews è gestita da un consorzio, attualmente di 24 stakeholders (RAI, secondo il bilancio 2012 è al 20,56%), tra cui i broadcaster pubblici dell'UE. L'Italia ha però un ruolo ancora più importante nel comitato di supervisione che detta la linea editoriale, disponendo della presidenza con Paolo Garimberti e di uno dei dieci posti di controllo assegnati ai soci fondatori. Purtroppo l'offerta di Euronews è veramente trascurata. Presente sulla piattaforma Tivusat, l'unico segno di vita sul digitale terrestre riguarda la ritrasmissione di un notiziario nelle prime ore del mattino sugli slot di Rai 1 (in rete circola anche una petizione che chiede di restituire a Euronews lo spazio che merita). Le relazioni con l'UE sono forti, ma Euronews resta una iniziativa nata in un contesto broadcast, per volontà dell'EBU all'epoca della Guerra del golfo. Un servizio pubblico su scala europea potrebbe essere ancora più ampio, come portata. In compenso Euronews è una piattaforma estremamente articolata, che dispone anche di un canale "radiofonico" ed è presente sottoforma di siti e di app anche su Web e tablet. Oggi trasmette in 13 lingue (più l'opzione del polacco per doppiare l'audio dell'edizione inglese). In un momento come questo, sarebbe fondamentale consentirne l'accesso ai contribuenti che la finanziano con il loro canone.

Fabrizio ha detto...

"Antonio Preziosi ha rilanciato la sua idea di servizio pubblico radiotelevisivo europeo"

mi piacerebbe sapere dov'era Antonio Preziosi nel 2008, quando uscì questa notizia (che avevo riportato anche nel mio blog http://technosoc.blogspot.it/2008/02/european-union-on-air.html ) "Europe on the air: a network of European radio stations, is launched". Che senso ha parlare di iniziative "nuove", quando la Rai non ha partecipato a quelle stesse iniziative (quando si è presentata l'occasione) ?

Andrea Lawendel ha detto...

Hai ragione, anch'io avevo lamentato la mancata partecipazione della Rai al network Euranet,

http://radiolawendel.blogspot.it/2008/11/euranet-la-radio-europea-senza-litalia.html

http://radiolawendel.blogspot.it/2010/09/preziosi-una-radio-europea-12-stelle.html

Bisogna però sottolineare un dato e una constatazione. Antonio Preziosi è stato nominato direttore di Radio Uno nell'agosto del 2009. Il progetto Euranet, promosso dal Consiglio dei ministri europei (che esiste ancora, anche in Italiano, ma mi sembra più orientato al Web), è abbastanza minimale. L'idea di un vero e proprio servizio pubblico coordinato a livello europeo dovrebbe essere più ambiziosa.