15 settembre 2012

Cultura in mp3: i software anti-pirateria minacciano la libertà di condivisione

Cominciano a venire al pettine i nodi di una politica di tutela del copyright digitale ottusa e attenta solo agli ingenti profitti di una casta di produttori di contenuti audiovisivi, in genere più attenti alle aspettative di grosse folle di consumatori che alla qualità della "merce" venduta. I broadcaster televisivi e le case cinematografiche e discografiche combattono il fenomeno della pirateri digitale con armi e azioni indiscriminate, che incidono poco sull'industria della copia illegale ma penalizzano e criminalizzano gli individui che attraverso Internet promuovono la cultura e la creatività collettiva.
Sapete che da molto tempo cerco di dare il mio supporto ai gruppi di appassionati che condividono i podcast delle emittenti radiofoniche culturali, letture ad alta voce e altri contenuti di alto livello, come conferenze, interviste, audiodocumentari e progetti di sound art. Non sto parlando di pirati delle registrazioni musicali colte, ma di semplici cultori della radio e dei contenuti audio (non a caso con una elevata percentuale di chiechi e ipovedenti) che faticherebbero comunque a trovare spazi e soprattutto non generano, dopo la messa in onda, alcun provento da vendita pubblicitaria o diretta. L'equivalente culturale delle tonnellate di cibo mandate ogni giorno a un vergognoso macero.
Il frutto più importante del mio modesto supporto è il catalogo di contenuti mp3 che Mariù, la più instancabile e appassionata tra questi instancabili appassionati, tiene continuamente aggiornato, aggiungendo senza sosta nuovi link. Si tratta per lo più di podcast scaricati dai siti delle emittenti, con qualche contributo quasi sempre registrato dal vivo, con mezzi tecnici non professionali, in occasione di presentazioni di libri, convegni e altri eventi culturali.
Tutto questo lavoro, che costa tempo e denaro e non porta a un centesimo di guadagno (ma neppure a perdite per gli eventuali titolari di copyright, considerando che il grosso dell'"Elencone di mariu" è una semplice aggregazione di materiali gratuitamente disponibili pensata semplicemente per facilitare l'accesso a un patrimonio ignoto ai più), l'impegno di anni di abnegazione disinteressata rischia di andare perduto o di subire un drastico rallentamento. I servizi di "cloud storage", i dischi virtuali messi a disposizione da provider come Mediafire, Rapidshare e molti altri, sono da tempo nel mirino delle norme antipirateria. Il caso più eclatante, quello di Megaupload, ha colpito duramente i depositi di serial televisivi e film.
Nessuno contesta il diritto alla tutela dei contenuti audiovisi da parte dei "proprietari". Peccato che questi ultimi si servano di tecnologie messe a punto da società come Attributor o LeakId (posseduta, per ironia della sorte, da una celebre personalità della radio commerciale francese), strumenti che funzionano come un motore di ricerca passando al setaccio le varie Mediafire per individuare i contenuti sospetti e sparare in automatico raffiche di contestazioni. Come nella pesca a strascico, insieme alle prede più pregiate - le copie effettivamente illegali di CD e DVD e le registrazioni pirata delle serie TV più popolari - nelle maglie dei controlli finiscono anche semplici copie personali, registrazioni di programmi di nicchia e anche diversi file riportati nel nostro amato Elencone. Alcuni dei miei amici condivisori hanno ricevuto dei minacciosi cartellini gialli dai provider utilizzati per salvare letture ad alta voce e programmi radiofonici. I link smettono di essere attivi e quel che è peggio su tutti grava la minaccia di rimozione generalizzata degli account e di tutti i file associati. Ma la cosa più intollerabile è che in tutti i casi che mi sono stati segnalati in queste ore i vari poliziotti-software attribuiscono i contenuti ai titolari sbagliati. In questo modo i podcast prodotti da Radio RAI diventano ex officio "di proprietà" di una emittente televisiva francese o di una casa editrice americana. Errori tanto più gravi perché legalmente supportati da dichiarazoni "in buona fede" ma generiche di avvocati legali rappresentanti che in pratica ottengono la sospensione di un diritto individuale con formule di rito quali "ho ragione di credere che il file in questione sia di proprietà del mio cliente...".
Ho fatto qualche ricerca in giro e il fenomeno sta assumendo dimensioni preoccupanti. Già nel 2010 Hals Report segnalava la pericolosità della "censura" di fatto esercitata da Attributor e colleghi, ma ora moltissimi professionisti e individui che non commettono alcuna violazione si trovano costretti a far valere i propri diritti fondamentali presso i provider che per evitare guai peggiori rendono esecutiva qualsiasi richiesta di rimozione dei contenuti e sospensione degli account. Un caso recente è quella di Sheilah Thomas Davis, una psicologa specialista in ipnosi che si è vista rimuovere contenuti formativi prodotti e caricati in proprio. Proprio in questi giorni le cronache registrano la clamorosa disavventura che ha colpito Mila Parkour, grande esperta di virus informatici, che ha avuto il proprio account Mediafire sospeso per colpa di una denuncia automatica di LeakId. La Parkour è riuscita a dimostrare che i suoi file contenevano copie di "patch" (software di riparazione) destinate a rimediare gli errori di programmazione in pacchetti software commerciali, non copie illegali di programmi della Microsoft e altri produttori. Ma per ottenere giustizia Mila ha dovuto depositare una controdenuncia e sostenere un impegnativo dialogo a distanza con Mediafire. Cose impensabili per un semplice ascoltatore di Radio 3 che mette sul proprio disco virtuale l'ultimo podcast di "Uomini e profeti".
È inaccettabile che uno spazio di libertà e condivisione ceda il passo a un alveare di gabbie in cui l'unico diritto esercitabile sia quello del pubblico pagante. La normativa sul copyright deve cambiare, e in fretta, in un senso meno generalmente restrittivo, più uniforme e più rispettoso delle esigenze di chi vorrebbe tutelare la crescita culturale dell'individuo insieme ai diritti degli autori e ai profitti degli editori. Non lo penso solo io: pochi giorni fa la responsabile della Digital Agenda europea Neelie Kroes ha pronunciato un appassionato discorso al Creative Industries The 2012 Intellectual Property and Innovation Summit, in margine alla presentazione di uno studio del The Lisbon Council sulla proprietà intellettuale. In attesa che qualcosa cambi si potrebbe se non altro porre un freno alla libertà d'azione degli strumenti software utilizzati oggi per la lotta alla pirateria digitale. Mi rendo conto che queste tecnologie sono indispensabili per chi deve affrontare un problema su scala così vasta, ma non accetto l'idea che un meccanismo automatico ma fallace possa portare alla illegittima sospensione del mio diritto all'ascolto intelligente.

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